Oggi ho parlato con Arcadio Spinozzi, “Spina”, difensore arcigno che si guadagnò la fama di “sindacalista del calcio” denunciandone la corruzione. Tante emozioni e ricordi in poco tempo: la grande Lazio dei meno nove, il pensiero all’icona immortale Giorgio Chinaglia e la tifoseria di un tempo, compatta e presente anche nei momenti difficili.

 Ha scritto due libri, uno di questi è “Vita da Lazio”. Dalla Sambenedettese alla Lazio: oltre 120 presenze, sei anni dall’80 all’86. Ci vuole raccontare come fu questa vita in biancoceleste?

 

Bisogna tornare indietro nel tempo,  di qualche lustro. Bisogna soprattutto considerare qual era la situazione societaria ed il periodo storico. Arrivai alla Lazio nel luglio dell’80 e dopo tre giorni di preparazione fummo retrocessi in Serie B per gli illeciti legati alle scommesse clandestine. Quello fu l’inizio di un periodo davvero buio: per la società, la tifoseria e noi calciatori. Eravamo pronti per un campionato di Serie A e poi all’improvviso ti ritrovi in Serie B. Comiciarono così i problemi, quelli veri, che portarono ad una situazione societaria gravissima. In più all’interno c’erano delle correnti che si facevano la guerra a vicenda per ottenere il potere. Alla squadra pesò tantissimo, perchè non avevamo il sostegno di nessuno ed alcuni miei compagni soffrivano la pressione mediatica e gli attacchi.”Additati” spesso come persone che non volevano il bene della Lazio. Successivamente poi si avvicendarono parecchi presidenti. Dal momento buio per poi arrivare a quel risultato che si conosce come “la Lazio grande dei meno nove”!

 

Proprio parlando di presidenti: icona immortale, Giorgio Chinaglia, tramadato di padre in figlio. Quelli che come me son venuti dopo, ne sentono raccontare le grandi gesta calcistiche, ma Long John presidente, com’era davvero?

 

Io non posso parlare a livello societrario, economico e di gestione di Giorgio. Posso parlare dei rapporti personali, umani, perchè lui era “umano”, una persona splendida. Ha tenuto sempre un comportamento corretto, era un personaggio che a me piaceva molto, anche perchè avevamo in comune moltissime cose al di fuori. Appena capitava qualcosa, o qualcuno fingeva raccontando menzogne, come me, lui perdeva letteralmente la testa. Anch’io avevo un carattere simile. Lui alle ingiustizie non ci stava e le combattteva.

 

Era proprio il Chinaglia che ci è stato sempre raccontato: sincero, diretto, combattivo senza filtri e con un cuore biancoceleste immenso?

 

(Sorridendo) Era proprio così! Era anche una persona generosa, molto generosa, era molto affabile, ma non davanti la falsità e le ingiustizie che non tollerava proprio. Allora lì era capace davvero di arrivare a tutto. E’ stato un grandissimo personaggio, così non ce ne sono più. E’ stato un grandissimo calciatore, ma questo lo si sa, anch’io l’ho vissuto così. Dopo però ho avuto l’opportunità e la fortuna di conoscerlo come uomo e devo ripetere che aveva davvero una spiccata umanità. Aveva una forte etica e per me è stato uno dei pochi personaggi della Lazio che all’epoca ho conosciuto davvero ed ho stimato. 

 

Quindi, se le chiedo secondo lei chi è stato il più grande giocatore della Lazio?

 

Parlando di qualità tecniche, atletiche, caratteriali, grandissima personalità, sicuramente tra tutti quelli che ho conosciuto, Giorgio era il più grande. Non ho vissuto il periodo di Piola, quindi mi riferisco agli anni ’70 in poi. Lui era un trascinatore, era uno che in campo non dava solo tutto quello che aveva, era proprio una figura che dava tutto anche ai compagni, all’intera squadra. Nei momenti di difficoltà, quando la Lazio stava subendo il risultato, lui era una presenza indispensabile. Ed i risultati si sono ottenuti con quello scudetto del ’74, certo merito di tutti, ma senza Giorgio probabilmente non si sarebbe raggiunto un traguardo così importante. 

 

La tifoseria e la società: una spaccatura netta. Secondo lei, protrà mai essere rimediata in qualche modo?

 

La tifoseria è divisa in due e questa non è una bella situazione. Non è ideale per affrontare un campionato, ma le colpe ci sono e tutto ciò non è stato casuale. Ci sono delle grosse responsabilità da parte di chi gestisce. Quindi mi rimane difficile dire che un giorno tutto tornerà come prima, almeno fin quando chi ha creato questa spaccatura rimarrà. Prima era diverso, andare allo stadio ti rimaneva dentro, era un’emozione anche per chi come me la viveva dal campo. I tifosi e

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