Caro Cutrone, un giocatore per essere campione deve avere altro oltre le gambe; l’intelligenza, l’onestà. Ti racconterei se potessi, la storia di Miroslav Klose, un grandissimo uomo ancora prima che un grandissimo calciatore.
O ti racconterei di un altro orgoglio nostrano: Buffon. Gigi che in Supercoppa, nonostante lo svantaggio, tornò dal break, prese posto tra i pali, si voltò ed applaudì la Curva Nord e tutti i laziali.
Anche lui simbolo di un calcio di cui è rimasto davvero poco.
Perché caro Cutrone, prima del numero sul tabellino dei marcatori, c’è la reputazione.
Torniamo però al mio racconto. C’era una volta tra le fila biancocelesti, un certo Miro KLOSE, campione amato dapprima nel mondo, osannato in madre patria Germania, uno che davvero aveva vinto tutto, ma lo stesso aveva quella umiltà che dovrebbero avere i “ragazzini” che iniziano a giocare tra i grandi.
Klose, rispettato anche dagli acerrimi nemici romanisti e chi è laziale, sa quanto questo sia cosa rara.
Era il 2012 se non ricordo male, fair play dell’attaccante tedesco nella gara della Lazio contro il Napoli. Al 3′ su azione di calcio d’angolo il bomber, con la mano, sfiora la palla che finisce in rete alle spalle di De Sanctis. Non servirono nemmeno le proteste partenopee, immediatamente Klose confessò a Banti, che inizialmente aveva convalidato, l’irregolarità. Abbracci degli avversari al centravanti e grande applauso del San Paolo. Ecco di cosa sto parlando: di uno che dice la verità, non solo viene celebrato dai giocatori dell’altra squadra, ma addirittura si guadagna la standing ovation di uno stadio “nemico”.
E cosa disse in conferenza stampa?
“Il pallone mi è finito sulla mano, per me era la cosa più normale al mondo dirlo all’arbitro!”
Perché caro e giovanissimo Cutrone, tu forse non sai e magari nemmeno lo imparerai mai, che la reputazione conta assai di più del numero sul tabellino marcatori!