La storia può cambiare in un secondo e quel secondo la può distorcere, riscrivere, determinarla fino raggiungere i giorni nostri pur venendo da lontano.
È il racconto di Carlo Lenzini che decise di acquistare la Lazio.
Il fato però cambiò le carte in tavola e prese una decisione tutta sua: durante il viaggio che lo conduceva negli Stati Uniti, morì stroncato da un infarto su un piroscafo e fu il fratello Umberto a prendere da solo il comando della società.
Allora qui mi blocco e la mia storia ricomincia da capo.
C’era una volta dunque Umberto Lenzini, nato il 20 luglio 1912 a Walsenburg, Colorado, cittadino americano, famiglia originaria di un piccolo paese dell’Appennino Modenese emigrata negli Stati Uniti per cercare fortuna.
Fortuna che li baciò in piena fronte col successo nel ramo delle costruzioni e tornato in Italia, edificò in zona Valle Aurelia e Pineta Sacchetti.
La mia storia però racconta del presidente della Lazio, della sua umanità ed umiltà che difficilmente i tifosi biancocelesti hanno trovato in qualcuno dopo di lui.
C’era una volta Umberto Lenzini e nel 1965 divenne il numero 1 della Lazio.
Senza saperlo ancora, appena 9 anni dopo, proprio il suo il nome sarebbe passato alla storia con il primo scudetto firmato Maestrelli, Chinaglia, Re Cecconi.
Proprio a quell’uomo dall’aspetto mite, cittadino americano nato in Colorado, sono legati tanti nomi, tante tragedie e non solo la gloria, quella forse fu anche poca.
Un addio doloroso nel febbraio freddo, proprio come oggi, del 1987. Eppure la Lazio avrebbe avuto ancora bisogno del “sor Umberto”. Pochi soldi per creare una squadra leggendaria, una formazione che tutti ancora recitano a memoria.
Tanti aneddoti nel tempo hanno distorto ed imbruttito la nostra storia, tanti l’hanno resa grande, tanti altri hanno colpito al cuore. Lo “zio d’America” c’era sempre.
Retrocessione, il gruppo di pazzi che conquistò il mondo nel 1974, la morte di Re Cecconi, di Maestrelli, il declino, il calcio scommesse, la fine della sua presidenza. Niente però macchia il ricordo indelebile del “sor Umberto”.
Altri tempi, un calcio diverso, un calcio “vintage”, vecchio stampo, sparito nell’oblio, eppure “vero” come “vera” era la sua Lazio.
La storia che vi ho raccontato trova l’ultimo capitolo, l’ultimo suo scritto il 22 febbraio 1987 nella città che lo aveva adottato; Roma.
Si spense così il “papà” del primo scudetto e si sa, il primo amore non si scorda mai!
Un uomo, il vero “presidente della gente” che a 31 anni di distanza, anche per chi come me è venuto dopo, ancora manca. Sentiamo la mancanza e ce ne appropriamo come fosse una nostra eredità.
Io credo che forse nessuno è stato amato come lui e lo dico per il peso che quell’assenza assume seppur muta, seppur sembra solo un ricordo imprigionato su un vecchio filmato.
Umberto Lenzini è custode di una Lazio che non aveva procuratori intorno, ma era reale, drammatica, dei tifosi, triste, epica, intramontabile.
Il presidente della gente, il presidente della Lazio, il nostro presidente: ciao sor Umbe’ qui nessuno ti dimentica!