In clima di Champions League, vedendo a Roma opposta al Liverpool, anche a chi fa orecchio da mercante e sbraita con i soliti insulti verso “i capitani in galera” biancococelesti per il calcio scommesse, non può non tornare alla mente la “grande truffa del 1984” ad opera dei giallorossi. La “sola” e poi la bastonata: quando si dice il karma!
Ci sono voluti 27 anni per la verità che racconta di un intermediario al quale la società capitolina consegnò 100 milioni per comprare la lealtà dell’ arbitro Vautrot. È vero ed è un fatto vergognoso.
Per mettere la solita pezza sopra la vicenda, come spesso la stampa permette ai romanisti, qualcuno la chiama “denuncia” che lo scandalo lo fece uscire Dino Viola per smascherare il colpevole e la Cupola del calcio.
Chi parla così, da testimone oculare di tutta la vicenda, è Riccardo Viola, figlio del compianto presidente giallorosso Dino, che ai microfoni della ‘Tribù del Calcio’ nel 2011, rievocò lo scandalo legato a Roma-Dundee del 25 aprile 1984, semifinale di Coppa dei Campioni, con i giallorossi che rimontano lo 0-2 dell’andata, vinsero poi 3-0 e si qualificano per la finale poi persa ai rigori contro il Liverpool.
Per la prima volta dopo 27 anni Riccardo Viola, a quei tempi giovane dirigente, raccontò quel che accadde davvero nei giorni precedenti la partita.
“Arriva il signor Landini, manager del Genoa, parla con Viola e gli dice: Vautrot è un amico e attraverso un altro mio amico si può arrivare a lui. Ma bisogna dare all’arbitro 100 milioni. Noi rispondiamo: che sicurezza abbiamo che Vautrot prenda questi soldi?”
Ci si accorda per un segnale convenzionale che avvenga alla vigilia del match:
“Noi organizziamo una cena con l’arbitro e chiediamo un segnale che effettivamente dimostri che qualcosa di vero in tutto questo c’è. Nel corso della cena arriva un cameriere che si rivolge all’arbitro e dice: ‘Il signor Vautrot al telefono’. Quello era il segnale. Quando Vautrot dopo essersi assentato ritorna al tavolo, ci dice: ‘Ha chiamato l’amico Paolo e mi ha detto di salutarvi’. Allora io mi alzo, chiamo papà e gli dico: ‘essaggio arrivato'”.
Riccardo Viola non mente e senza esitazione alcuna, ammise facilmente che la consegna del denaro ci fu:
“Tutto questo è stato fatto perché di fronte a una partita del genere dire di no non è facile. Tirarsi indietro poteva avere gravi ripercussioni”.
Sull’identità del misterioso Paolo amico di Vautrot e garante occulto dell’operazione, Riccardo Viola ammise:
“Chi fosse l’amico Paolo non l’abbiamo mai saputo. Papà domandava a tutti e in quel periodo c’erano solo due possibili Paolo, Casarin e Bergamo. Lui parlò con entrambi, ma finì che entrambi si accusarono a vicenda”.
CORTE FEDERALE
Nel 1986, la Corte Federale assolse tutti i protagonisti di quello scandalo, ma solo per sopraggiunta prescrizione e specificando di
“aver riscontrato un comportamento gravemente censurabile messo in opera dall’ing. Viola. Non può quindi dichiarare caduta l’incolpazione contestata ai signori Landini e Viola in merito al passaggio della somma di 100 milioni”.