Non è capitato spesso di sentire parlare Caicedo, stavolta però Felipao ha deciso di raccontarsi e lo fa ai microfoni di Lazio Style Channel. Può piacere o non piacere, ma nella lunga intervista il giocatore si è aperto dalle sue umili origini all’occasione della vita: la Lazio.
Ripeto, può piacere o non piacere, ma le sue parole hanno toccato anche me, molto spesso tra i suoi “giudici severi”.
Riflettori puntati su Felipao e pronti a sentire la sua storia..
«Non è stato facile per me decidere di fare del calcio un mestiere. In famiglia non avevamo molti soldi e ho dovuto fare molti sacrifici. Avevo un buon piede sinistro, ho cominciato a giocare come mezza punta, indossando la maglia numero 10. Poi gradualmente mi sono specializzato come punta centrale. La mia caratteristica peculiare è quella di cercare sempre di giocare il pallone col compagno. Cerco sempre l’appoggio della squadra e spero che questo mio modo di intendere il ruolo possa ben sposarsi con le esigenze della Lazio».
LA LAZIO
«La Lazio è una grande squadra, molto conosciuta in Europa. Quando mi si è palesata l’opportunità quasi non ci credevo. Rappresenta un punto d’arrivo molto importante per un giocatore che vuole consacrare la sua carriera. Abbiamo una rosa forte e siamo in lizza per la Champions, vogliamo competere su tutti i fronti e desidero conquistarmi la stima per rimanere qui a lungo. Spero di continuare a segnare gol decisivi, nonostante la Lazio abbia un organico fantastico e tante soluzioni di gioco. Voglio dare il massimo e contribuire con reti come quella con la Sampdoria o il Nizza. L’esultanza a Genova? Sì era una fotografia, ma è sembrato uno scatto fatto alla loro curva. Non volevo essere offensivo con i loro tifosi».
INZAGHI
«Diversi tecnici sono stati fondamentali per me, oggi ho la fortuna di lavorare con Inzaghi che è un grande motivatore e una persona eccezionale che non trascura nessun dettaglio. Ha grande personalità e riesce a trasmetterla al gruppo, una qualità che gli garantirà un ottimo futuro da allenatore».
SUPERCOPPA
«Alla mia prima partita vincere un trofeo così importante è stata un’emozione indescrivibile. Ora il prossimo passo è restare protagonisti in campionato. L’emozione della Supercoppa l’ho vissuta dalla panchina, ma mi sono sentito comunque parte di un grande gruppo. Ho un paio di soprannomi: Felipao e la Pantera che è quello più diffuso. Ma un giorno, con l’Ecuador, segnai una doppietta importante in piena campagna elettorale e Rafael Correa (presidente del Paese fino al 2017, ndr) disse che il vero presidente ero io. Ricordo questo episodio con orgoglio. In Nazionale ho avuto una carriera piena di soddisfazioni che sfortunatamente non si è conclusa con la qualificazione a Russia 2018».