Noi siamo nati per vivere tra picchi ed abissi, la nostra storia lo racconta: ad ogni trionfo, seguiva sempre una ridondante bastonata.

Stasera è stata tutta una questione di minuti: 90 per raggiungere un sogno chiamato Champions League, più di 70 quelli in cui la Lazio ha stretto l’Inter nella morsa, poi il gelo, il solito blackout e la sorte si rovescia contro buttandoci a terra.

Eravamo vicini, ma andarci vicino conta a bocce, non nel calcio, nel calcio o centri l’obiettivo o lo perdi, non esiste l’arte di “sfiorare”.

70 minuti fatti di Milinkovic-Savic “gigante”, Senad Lulic ed il duetto con Felipe Anderson, De Vrij che non lascia passare nulla alla sua promessa sposa, poi….

Poi accade l’impensabile, si spenge la luce e si va punto a capo.

Strakosha effettua un rinvio strampalato, l’olandese per mettere una pezza sul caos si getta in un’azione che ricorda il fu Cana. Al rigore battuto e centrato da Icardi, Lulic impazzisce e risponde con un’entrata “killer” come non se ne vedevano da tempo.

La Lazio rimane in 10, tutto accade in 5 minuti, forse 7 e stavolta nessuno stravolgimento come al Franchi, nessun Murgia della divina provvidenza come in Supercoppa.

I biancocelesti perdono una gara perfetta in un giro di lancette, ma l’orgoglio quello no.

L’orgoglio di questi ragazzi, del mister e della gente laziale.

Dopotutto l’Europa League non l’abbiamo mai snobbata, anzi, il nostro percorso dignitoso lo abbiamo sempre fatto.

Si perde una gara, ma la gente non perde: noi laziali non perdiamo mai, nonostante il risultato.

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