Francesco Acerbi: questo il nome che più di tutti è accostato alla Lazio. In tanti hanno storto il naso, “troppi 30 anni”, troppo alto il costo del cartellino, troppo inferiore al partente De Vrij per ereditarne il posto. Quando si parla di giocatori però, si tende sempre a vedere numeri e statistiche, mai ciò che c’è oltre.

 Non è un segreto che non sia un top player, ma la favola che voglio raccontare, non ha a che fare con il campo, bensì con quello che successe fuori dal rettangolo verde.

Torniamo indietro al 2013: il difensore è appena approdato al Sassuolo dal Chievo. In Emilia è pronto a rilanciare la sua carriera, ma un macigno pesantissimo sta per cadere con tutta la sua violenza. Dopo le visite mediche di routine con il club di Squinzi,la diagnosi è spietata, gli viene diagnosticato un tumore al testicolo e viene operato d’urgenza al San Raffaele di Milano. Per Acerbi ha inizio la battaglia “vera” , fatta di chemioterapia, pazienza, paura e fede. Il tumore viene rimosso, a settembre torna in campo a Verona contro l’Hellas. Tutto sembra finito per il meglio, ma l’incubo è appena dietro l’angolo.

Il destino colpisce nuovamente e colpisce forte. A dicembre, in uno dei soliti controlli antidoping, Acerbi risulta positivo alla “gonadotropina corionica”. Doping? Magari fosse stato, avrà pensato forse in quel momento, la faccenda è assai più seria: la recidiva del tumore.

La gonadotropina, una sostanza utilizzata per la cura del cancro ai testicoli, è presente in una quantità più alta della norma. Non essendo in quel momento in cura, scatta la squalifica, ma la sostanza potrebbe implicare anche un riacutizzarsi della malattia; ed è proprio quello che accadde.

La lotta di Francesco così si sdoppia e combatte su due fronti, le cure ed il ricorso contro la sospensione cautelare per doping. Spende carellini, fa a sportellate, alla fine vince ancora su entrambi i campi.

Questa è la storia di quando la vita decide di fare la bastarda e non solo ti punisce, ma si accanisce. 

Quello che abbiamo visto giocare nel Sassuolo era un calciatore nuovo, uno che nelle interviste usa sempre termini come “maturo”. Un difensore che ha combattuto una battaglia, rilegandolo forse in un “luogo comune” ingiusto, ma altrettanto veritiero, di chi torna a respirare a pieni polmoni e “rinasce”.

E se il motto della Lazio cita “non mollare mai”, forse Acerbi è davvero quello giusto.

Sono persone come noi e non è solo il campo a parlare per loro, forse il meglio lo sanno dare a telecamere spente. Comunque vada, se i nostri destini si incrocereanno o no, è giusto raccontare una favola che finisce bene ogni tanto.

 

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