La vittoria può essere bella, brutta, memorabile o da dimenticare, ma ciò che conta davvero quando arriviamo a spengere il televisore o abbandoniamo il seggiolino dello stadio, è la certezza di avere in tasca i tre punti. Questa insostenibile leggerezza dell’essere ci fa comunque gioire e capire che forse qualcosa di buono è stato fatto.

Puoi farne 10 di goals, o ne fai uno a stento, sempre 3 punti vale, non vi è alcuna ragione per disprezzare un trionfo. 

Succede a Empoli, sulla parata miracolosa di Strakosha, sul calar del match e sulle recriminazioni visibili a tutti di Francesco Acerbi per l’errore di Wallace che di fortuna ne ha ben poca. Esatto. Dimenticati già i miracaoli su sua maestà Cristiano Ronaldo, tornano agli occhi gli sbagli grossolani, quelle piccole disattenzioni che no, un giocatore di Serie A non dovrebbe avere.

Alla fine tutto torna come un libro spalancato sulla stessa pagina che racconta la storia di un’ala spezzata, di una retroguardia ballerina e che avrebbe sofferto lo stesso, anche con De Vrij.

E se volete, racconta anche di un attacco poco “offensivo”, di una macchina da gol inceppata.

Ma se proviamo a voltare pagina, vediamo solamente che allo scadere dei 90 minuti, ciò che conta sono i 3 punti “sporchi”.

Pochi, dannati e subito.

Frosinone ed Empoli sono servite per rimetterci in carreggiata, non sono i contorni di un disegno, non definiscono il percorso che sarà. Ecco l’unica cosa buona della trasferta in terra toscana, ancora una volta i 3 punticini.

A passeggio nel parco il primo tempo, un iniziale piccolo coinvolgimento nel secondo. Ritmi soliti di chi con la testa forse è ancora in vacanza o deve scrollarsi di dosso le delusioni nazionali, chi può saperlo? Io no e neanche voi.

Che ci sia ancora lo spettro di quel 20 maggio, di quegli ultimi minuti che costarono la Champions League? Uno spettro senza nulla da fare che decide di venirci a trovare quando si annoia troppo?  E’ ora di andare avanti e di non processare più le intenzioni. Quelle di Inzaghi e delle scelte sbagliate, soprattutto per il modulo della discordia, quelle di Marusic che sulla fascia proprio non va, dell’assenza di Felipe Anderson e del vuoto che ha lasciato…. basta, si va avanti, inevitabilmente, per forza, con la leggerezza o col dramma.

Una partita che avrebbe potuto cambiare epilogo in ogni momento con una squadra consiederata erroneamente “cuscinetto” che invece trovava i suoi spunti, le sue idee e con la Lazio che spesso è rimasta a guardare. Sul tabellone però, è rimasta solo quell’unica certezza: 0-1, vinciamo noi.

Potremmo recriminare per una settimana sulla dormita di Wallace e l’occasione di Caputo, sulle mezali toscane che, non si sa come, riuscivano a complicare la vita capitolina. Potremmo portare alla luce la tesi che davvero Milinkovic non è Sergej ma è il gemello… quello vero è rimasto bloccato sull’isola di Lost e, come si augurano in tanti, magari riaccenderà le telecamere su di lei. Potremmo imbestialirci e dire che Luis Alberto ha preteso di fare una differenza che non ha fatto, Immobile non ha inciso. 

Una cosa però proprio non mi è andata giù: molta gente critica Correa. Non è Correa il passaggio su cui porre l’accento. Non battezziamo subito il nuovo arrivato, non gettiamogli una croce, la nomea di “p***a”, ieri sera si è adagiato ad una Lazio “fly down”.

Chissà però quanto avremmo urlato se non fosse arrivato il miracolo di Strakosha: grazie Tommasino grazie!!!! Vedete, non è andata al meglio, ma poteva andare anche peggio! Volare a mezz’aria è pur sempre volare….

 

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