Si può vivere di rendita? Noi tifosi siamo un pubblico difficile, così come lo è lo stesso Claudio Lotito. Fatto questo piccolo preambolo, non è difficilissimo immaginare che, al momento, Simone Inzaghi sta poggiando le natiche sulla seduta più scomoda del mondo. O forse sono stata troppo drammatica.
Il tecnico piacentino è nella complessa condizione di dover accettare critiche, frecciatine tramite le colonne del Corriere, hashtag #inzaghiout. Unico modo per fare cessare, almeno in parte, questo ronzio è dover dimostrare.
Il patron capitolino è sicuro: “Simo’ t’ho dato una Ferrari”.
E se ciò fosse vero, allora significherebbe che le colpe sono per la maggiore dell’allenatore.
Ma è davvero così? La Lazio è una Ferrari? Il mercato è stato poco congruo solo ai nostri occhi, tifosi pubblico difficile?
E se…e se…. Ma…no…ma su…ma dai… BOOOOMMM.
Mi scoppia la testa. Recupero allora il bandolo della matassa, ovvero il punto iniziale di questa mia chiacchiera.
È nel destino del piacentino; ereditare una panchina scomoda dal suo predecessore Pioli, vivere la rivolta per il diniego di Bielsa, vivere un periodo di grazia e poi ricadere nel turbinio del decadentismo biancoceleste.
La Lazio è una Ferrari o è una 500?
Non è facile sbrogliare il bandolo della matassa.
Pro o contro, in entrambi i casi tutti noi facciamo finta di non aver visto gli sbagli o i cambi azzeccati.
Perché è così, perché in questo calderone non poteva non caderci l’allenatore. Piaccia o non piaccia, il suo nome è stato tirato in causa.
Molti di noi lo incolpano di tutto, anche della Guerra Fredda, tra tanti di noi forse qualcuno tra un po’ di anni sfoglierà l’album dei ricordi e magari lo rimpiangerà. Ma “la vita è adesso”, canta Claudio Baglioni.
“La vita è adesso”…. forse è un po’ tardi per Inzaghi. Lotito non ne fa mistero al Corriere dello Sport, figurarsi tra i corridoi di Formello. Il patron non è contento di vedere la sua creatura sgualcita, soprattutto deludente in Europa League e forse, in forma più privata, il presidente le orecchie le ha tirate anche ad Igli.
Concorso di colpa, spartirsi le distrazioni poiché, se in estate era stato urlato ai quattro venti che il mercato sarebbe stato fatto a due mani allenatore/Ds, allora la richiesta di Inzaghi “Lazzari a tutti i costi” non è bastata, mentre Tare è richiamato per la solita superficialità.
Ora però il cruccio diventa solo di Inzaghi e del suo scacchiere.
Gli undici messi in campo a volte irrazionalmente, guardare Marusic o Jony in un ruolo fuori ruolo, ma sono quegli undici a dover dimostrare che se davvero una cosa la si vuole, alla fine si ottiene.
Dimostrare che magari è vero, il ciclo di Inzaghi sta finendo, ma non deve per forza concludersi nella sconfitta e tra le ingiurie.
Le strade possono separarsi dopo un ultimo grande sforzo, un quarto posto forse più conquistato che meritato.
Il carattere? Il carattere dove sta?
Dalla zona Champions al provincialismo, il passo è breve.
Eppure contro l’Atalanta si è visto molto più che un semplice anelito di personalità, si è visto di nuovo il gruppo che lavora in gruppo, perché l’individualismo è la peggiore malattia in una squadra di calcio.
Non è facile essere Simone Inzaghi da settembre ad oggi. Non lo sarà nemmeno da oggi fino al panettone.
La posta in gioco è alta, piatto piange però non elemosina, ci sono insidie buttate qui e là, una su tutte l’Europa League, d’altra parte però il campionato è lungo e non è una fase a gironi.
Nessuno può buttarti fuori anche se accontentare tutti è pressoché impossibile.
Siamo abituati a Lotito che strilla cose, Lotito che urla cose…. Ma una giusta tra tante, la “verità vera”, l’ha detta: la squadra non ha carattere!
Mercato, allenatore, gap tra panchina e titolari, tutto un ecosistema a se stante poiché, se manca la materia prima, sarebbe difficile anche per José (inchino) Mourinho.
Manca il carattere e dove questo sia finito nessuno lo sa, forse nemmeno Simone Inzaghi.