Un compleanno magico, una grande storia, la Lazio, meritevole di aver portato il calcio a Roma così come ha ricordato anche la sindaca Virginia Raggi, ha compiuto ieri i suoi primi 120 anni.
Lazialità straripante,tanti messaggi, dagli eroi dello scudetto del 1974 a Lulic. Ecco tutte le dichiarazioni:
Giancarlo Oddi:
«La nostra fortuna è stata Maestrelli, che capiva tutti ed era un secondo padre. Eravamo una squadra particolare, non tutti con un passato calcistico importante».
Pino Wilson:
«Già vincere nel ’71-’72 il campionato in B sembrava un’impresa, poi grazie al lavoro di Maestrelli e Sbardella abbiamo conquistato uno scudetto irripetibile. A distanza di 50 anni abbiamo capito veramente l’importanza di quel successo».
Bruno Giordano:
«Erano rimaste due maglie: la 9 e la 10; D’Amico prese quest’ultima ed io inconsciamente quella di Chinaglia. Segnai subito a Firenze e così l’ho tenuta per tutta la carriera. Giorgio è stato il giocatore più importante, ha cambiato la mentalità della squadra. Derby? Lo vivevo da tifoso. Spero di aver scritto almeno un granello della storia di questo club. Paparelli? Quella giornata è stata surreale, pensavamo a dei feriti ma poi non era così. Abbiamo giocato per stemperare gli animi e c’era un tacito accordo di terminare la sfida in pareggio».
Fabio Poli:
«Decidemmo di rimanere ed abbiamo fatto un miracolo: grazie a Fiorini che ci ha dato la possibilità di raggiungere gli spareggi e poi salvarci. Abbiamo fatto una grande impresa, tutti insieme»
.Luca Marchegiani:
«Sono arrivato quando la Lazio era in costruzione e stava prendendo giocatori importanti. Gascoigne? Straordinario, poteva vincere da solo, ma era imprevedibile. Il punto più alto? La vittoria della Supercoppa Europea, Manchester squadra imbattibile; ricordo una parata decisiva su Scholes. Da quel momento la Lazio è diventata quella di oggi: considerata e rispettata a livello internazionale. Scudetto? Esperienza fantastica».
Alessandro Nesta:
«Se l’era Cragnotti fosse durata un po’ di più, avremmo potuto vincere la Coppa Campioni. Il gol al Milan? Bellissimo, è stata una delle serate più belle. Abbiamo vinto dopo tanti anni, per questo è stato ancora più importante. L’ultimo anno alla Lazio è stato difficile, anche a livello economico, non soltanto per noi ma anche per i magazzinieri».
Paolo Di Canio:
«Segnai contro la Roma quel gol che ci permise di vincere. Al mio ritorno invece siglai l’1-0 de derby vonto 3-1. Per me essere arrivato così ‘vecchio’ aveva mille significati. Eravamo straordinariamente diversi dagli altri, un po’ come in famiglia: i miei fratelli erano romanisti. Orgogliosi della minoranza e di andare in trasferta per Reggina-Lazio. Al Quarticciolo mi prendevano per matto quando cantavo i cori laziali. Quando sono tornato a Roma, a Formello c’erano 6.000 mila persone per me: piansi alcune notti».
Beppe Signori:
«Il derby valeva molto di più. Il mio gol più bello? In un Lazio-Inter, dove sono partito da centrocampo. Credo che per un giocatore non esista niente di più importante che avere 5.000 persone che non vogliono che tu te ne vada da Roma, perchè ti reputano fondamentale. Rimanere e prolungare il contratto era il minimo. Nella capitale la gente si ricorda, non c’è cosa più bella: la lazialità ce l’hai dentro».
Roberto Mancini:
«Giocare di tacco mi veniva naturale, ne feci fare tanti anche agli altri. Cragnotti fu convincente e per me avere in panchina Eriksson era fondamentale, dopo averlo avuto alla Samp: persona perbene e sincera, con cui i campioni vanno d’accordo. Integrò tutta la squadra, rendendola uno delle migliori d’Europa. Vittoria incredibile quella della Coppa delle Coppe. Lo scudetto invece sembrava un film, abbiamo aspettato tanto negli spogliatoi».
Claudio Lotito:
«120 anni sono tanti: molte persone hanno collaborato a far sì che esistesse e continuasse a farlo».
Senad Lulic:
«Abbiamo scritto la storia. Più passano gli anni e più diventi tifoso laziali: dopo 9 anni è normale. Questo è un mondo unico».
Simone Inzaghi:
«Il sentimento di lazialità si tramanda di padre in figlio. Quando iniziai con gli allievi regionali, passando davanti all’Olimpico dicevo a Gaia che avrei allenato la Lazio in questo stadio: lei rideva, ma in fondo ci credeva e sperava».