Simone Inzaghi ereditò momentaneamente la panchina bollente lasciata da mister Stefano Pioli e successivamente affondò le sue radici nel caos Bielsa.
Nessuno avrebbe mai scommesso che un giorno, non troppo lontano da quell’immediato trasloco in prima squadra, ci saremmo trovati a parlare in un modo così aulico del tecnico piacentino.
Nessuno avrebbe mai azzardato paragoni coi veri “giganti” biancocelesti, quelli che innalzarono la Lazio alla gloria.
Al Tardini tutto si ferma, è solo la voce di Banti a scrivere la storia; il gol di Caicedo è valido.
I tifosi si stringono intorno a Simone che ,dopo ben 21 anni, aggiunge un nuovo capitolo al libro ultracentenario biancoceleste.
Sven Goran Eriksson si fermò a 17 risultati utili consecutivi, 17 risultati con quella Lazio che fu definita da Sir Alex Ferguson “la più forte del mondo” in quel 2000.
Il paragone scava più indietro nel tempo e richiama lui, il “maestro” Tommaso Maestrelli.
Inzaghi è entrato a gamba tesa nell’Olimpo dei giganti, Inzaghi vuole essere il terzo a scrivere la storia più grande realizzando un sogno che, a tratti, sembra impossibile.
Una Lazio che si ferma nel mezzo abbracciando le due filosofie dei suoi predecessori: la tecnica ed il carattere.
Simone predica la calma, la razionalità, il saper tenere i piedi per terra perché, dopo due decenni nella Capitale, sa benissimo che per cadere dal piedistallo basta poco.
E se cadi la stessa piazza che ti osanna chiederà il tuo scalpo.
Lo sa bene Inzaghi, conosce a memoria quell’ #inzaghiout che sul web impazzava fino ad ottobre.
Tenere i piedi per terra evitando in ogni modo possibile di proferire la parola Tricolore, la Lazio è in corsa per la zona Champions e nessuno ha mai promesso di più.
Simone Inzaghi predica la lucidità mentale, ma non può non vedere che partita dopo partita, di sta costruendo la meraviglia.