Esiste un Olimpo del calcio? Forse ed ogni tanto ha permesso alla Lazio di varcare i suoi cancelli.
Ha permesso all’epopea biancoceleste di prendere forme e strade, di costruirsi la gloria nel nostro cammino ultracentenario.
Lo Scudetto del ’74 indicò la via, quello del 2000 la rivelò, la vittoria in finale di Coppa Italia contro la Roma 26 maggio 2013 lo confermò.
Sono passati vent’anni dalle parole di Riccardo Cucchi:
” Sono le 18 e 4 minuti del 14 maggio del 2000. La Lazio è campione d’Italia”.
Quella stagione, 1999/2000, era forse la più attesa di sempre per noi popolo laziale.
Mi lancio in questa affermazione azzardata perché, proprio quella stagione, si sarebbe costruita sulle macerie del rimpianto di quella precedente sì, ma….
Il 19 maggio 1999, al Villa Park di Birmingham andò in scena l‘ultima finale di Coppa delle Coppe. (Da allora i vincitori delle coppe nazionali sono ammessi alla Coppa UEFA)
A contendersi il trofeo la Lazio di Eriksson e il Mallorca.
Quella sera Vieri e Nedved consacreranno i biancocelesti a nome conclusivo nell’albo del torneo, regalando così alla nostra bacheca la Coppa originale.
Il 27 agosto del ’99 arrivò anche la Supercoppa Europea contro il Manchester United di Ferguson.
Proprio sir Alex Ferguson dirà in seguito: «la Lazio del 2000 era la squadra più forte del mondo».
Rewind, avvolgere il nastro.
Abbandoniamo i fasti europei e torniamo all’interno dei confini nostrani.
L’annata precedente si era conclusa amaramente, scrivevo poc’anzi, con l’ arakiri Lazio ed il Tricolore volato a Milano sponda rossonera.
Nonostante tutto, quelle due vittorie internazionali parevano aver profetizzato.
Cosa?
Il giusto picco dell’epopea Cragnottiana, il finale più sensato di questo mio racconto.
Racconto che inizia da molto lontano e che, tra mille strade intersecate, ci portò all’atto conclusivo.
Quel 14 maggio 2000 c’era il sole in tutta Italia, le temperature erano alte da parecchi giorni.
Io me ne camminavo spanzata come non ci fosse un domani e tutta la Penisola se ne stava a maniche corte, infradito per i più arditi.
Eravamo pronti: ultima di campionato, la Lazio aveva compiuto da poco i suoi 100 anni di storia e si stava giocando lo Scudetto con la Juventus.
(Ma sarà un segno?)
La sponda biancoceleste del Tevere si sentiva ancora derubata del titolo 1998/99 che, tra passi falsi ed arbitraggi “particolari”, aveva consegnato al Milan un posto nell’albo dei campioni d’Italia.
All’ultimo minuto dell’ultima giornata.
Oltre il danno pure la beffa.
” ‘Na tranvata tra capo e collo”.
Torniamo però a quel 14 maggio di vent’anni fa.
Fischio di inizio, la tensione, l’attesa, tutto ciò meriterebbe un libro a parte.
70.000 persone in un Olimpico diventato una polveriera pronta ad esplodere tra chi ascoltava la radio aspettando un segno da Perugia e chi si concentrava sulla partita in corso.
Su tutta l’Italia splendeva il sole, proprio su Perugia si erano addensati nuvoloni che minacciavano pioggia.
“La nuvola de Fantozzi”, eh già, perché a raccontarla tutta, anche sul capoluogo umbro il tempo era bello, le nuvole riguardavano soltanto Pian di Massiano, la zona extraurbana sulla quale sorge lo Stadio Renato Curi.
Era in scena Perugia-Juventus, mentre all’Olimpico scendevano in campo Lazio e Reggina.
La vittoria biancoceleste non era difficile da pronosticare, 3-0 con gol di Inzaghi, Veron e Simeone, anzi, s’erano pure trattenuti.
Ma si sa, gli animi erano tirati come Cher dopo il 67 esimo lifting.
Intanto sopra il “Curi”, che ospitava tra le sue mura amiche la Juventus opposta al Perugia, ad un tratto un temporale di rara intensità.
Si era scatenato l’inferno nell’assoluta libertà della natura e la sua instabilità.
Il campo era al limite del praticabile, un acquitrino.
Col match fermo sullo 0-0, il coraggio di prendere una decisione tarda ad arrivare.
Nonostante non in tutti i punti del rettangolo la palla avesse un regolare rimbalzo, la decisione delicata per le tante implicazioni, dopo una lunghissima interruzione, alle 17,11 toccò all’arbitro Collina: la partita deve continuare.
Lazio-Reggina era finita da un pezzo mentre a Perugia iniziava la ripresa.
Nel momento in cui la palla viene portata a centrocampo, Lazio e Juventus hanno entrambe 72 punti, il titolo è in bilico tra due nomi e solo lo spareggio potrebbe dare un volto alla squadra campione d’Italia.
Roma freme, da Perugia non si sente nulla, finché… La rete di Calori, a 26 anni di distanza, decise che lo Scudetto sarebbe tornato in casa Lazio.
Erano le 18:04 del 14 maggio 2000.
Dopo la Banda Maestrelli entrata nella leggenda, finisce l’attesa di 26 anni.
Negli spogliatoi inizia la festa, anche per Eriksson che era stato dipinto come un eterno secondo.
Mazzone a Perugia commentò: “ce voleva un romanista per faje vincè ‘no scudetto“.
Una corsa, una stagione, una delle rimonte più eccezionali nella storia della serie A, il capolavoro di una squadra pazzesca che ha scritto la parola fine solamente alla fine.
E noi la vogliamo ricordare nella sua interezza:
Allenatore: Sven-Göran Eriksson
Portieri
Luca Marchegiani, Marco Ballotta, Luca Mondini, Emanuele Concetti.
Difensori
Fernando Couto, Giuseppe Favalli, Guerino Gottardi, Siniša Mihajlović, Paolo Negro, Alessandro Nesta, Giuseppe Pancaro, Nestor Roberto Sensini.
Centrocampisti
Matias Jesus Almeyda, Sergio Conceição, Attilio Lombardo, Dario Marcolin, Pavel Nedved, Giampiero Pinzi, Diego Pablo Simeone, Dejan Stankovic, Juan Sebastian Veron.
Attaccanti
Alen Boksic, Gasperino Cinelli, Simone Inzaghi, Roberto Mancini, Fabrizio Ravanelli, Marcelo Melinão Salas.
Solo a leggere la formazione, vengono i brividi!