Durante la giornata di ieri, su Radiosei durante la trasmissione di Stefano Benedetti, è intervenuto l’ex club manager della Lazio, Angelo Peruzzi. Le sue parole hanno scatenato una vera e propria bufera sui social, venendo considerate un po’ il segreto di Pulcinella da molti, ma scatenando indignazione vista l’autorevolezza della voce dell’ex portiere laziale.
In aggiunta a questo anche varie fonti di informazione, testate e non, hanno contribuito ad un caos mediatico piuttosto singolare, muovendo l’accusa di non aver davanti una reale intervista, ma una serie di dichiarazioni estorte con l’inganno. Va comunque segnalato che in almeno tre circostanze durante la trasmissione, è stato ricordato a Peruzzi di essere in diretta, per tutta risposta però va anche precisato che in almeno due circostanze Peruzzi ha palesato di non aver capito di esserlo davvero, e nessuno sforzo è stato fatto per convincerlo.
Per ora la Lazio non ha commentato ufficialmente tale dichiarazioni, che restano comunque molto forti e significative nei loro contenuti, di seguito riportate.
"Di partite ne ho viste poche, quasi nessuna. Non seguo tanto il calcio, non mi piaceva farlo neanche quando giocavo. Mio figlio è della Lazio, quando ci sta mio figlio a casa la vedo. Seguo quello che succede, ma non assiduamente, non è che tutti i giorni mi metto a guardare i siti. Ormai non c’entro più niente con la Lazio, fossi stato ancora dentro avrei seguito minuto per minuto.
Dei giocatori che sono andati via dalla cena di Natale ho saputo, ma dicono che non era fatto di proposito. Mi sembra strano che i giocatori si alzino e vadano via, non è cortese. Con Peruzzi se ne sarebbero andati alle 9 invece che alle 11 (ride, ndr). Una cosa del genere mi avrebbe fatto arrabbiare parecchio. Penso che non sarebbe successa comunque".
"Non ci sarà mai la possibilità di un ritorno, ma non da parte mia, ma da parte del presidente Lotito: è l’ultima cosa che pensa. Lui ha diecimila pregi, però ha due difetti, è supponente e si crede unto dal Signore. Questi due difetti stravolgono tutti i pregi che ha, che sono mille, io non lo metto in dubbio. Rivelando io questi due difetti, pensi che lui si abbassi a chiamarmi, ma manco morto. Non ci pensa proprio.
In una società in cui ho lavorato come dirigente per cinque anni, e penso che qualcosa abbia fatto, vado via e non hanno fatto nemmeno un comunicato per dire che si è levato dalle scatole questo rimbambito, arrivederci. Dicono qualsiasi cosa che riguarda i giocatori sui social e non potevano fare una comunicazione del genere? Se non l’hanno fatta, allora è stato giusto che andassi via. Sono un po’ deluso, vuol dire che allora tutte le mie supposizione di non contare più niente erano veritiere.
Non lo so come si è venuta a creare questa situazione. Lotito ha quei due difetti e l’altro che comanda insieme a lui la stessa cosa. Perché le sanno solo loro le cose, gli altri sono tutti stupidi. L’altro è Tare? Eh sì. Tu non conti niente, perché contano loro due. La dentro non puoi lavorare come vorresti e quindi a un certo punto arrivederci e grazie. Io gli ho detto anche al presidente: se devo avere tre permessi per avere un secchio di vernice per la porta significa che non conto nulla, sono come l’usciere. Se chiedo un secchio di vernice dopo tre minuti deve arrivare quello che vernicia le porte.
Proposta di ritorno? Irrealizzabile. Io voglio un bene dell’anima alla Lazio, ai ragazzi e all’ambiente. Sono stato lì più di dieci anni, è stato un pezzo della mia vita. Ma tornerei alle condizioni che dico io, ossia quelle che avevo chiesto al mio arrivo cinque anni fa: nel mio campo dovevo muovermi senza che nessuno mi intralciasse il lavoro e invece non mi fanno contare niente. Ti dicono sì, tu puoi fare quello che vuoi, ma in definitiva non ti fanno contare nulla. Da quando ho cominciato cinque anni fa fino a giugno dell’anno scorso, man mano ti mettono da parte non te lo fanno spudoratamente ma ti isolano quindi dove vai. Non si può lavorare in questa maniera. Uno crede che conta poi ti rendi conto che non conti più ed è inutile che vai.
Quando me ne sono reso conto? Non lo so non è che la mattina mi sono svegliato chiedendomi conto o non conto. Io vado a fare il mio lavoro, cerco di farlo nel miglior modo possibile poi ci sta che a volte ci riesci e a volte no. E a volte ci sta che non te lo vogliono far fare. Diranno che mi piangevo addosso ma non è così. Non sto qua a dirti questo e quest’altro perché sono cose che è giusto rimangano nello spogliatoio della Lazio"
"Io non voglio litigare. In questi anni la maggior parte delle volte stavo insieme a Igli. Non è una questione di amicizia io continuo a esserlo, non sono arrabbiato con Tare. Io dico che lavoro in una certa maniera e come lavoravo io onestamente non si poteva più lavorare perché non c’erano le condizioni per farlo. È molto difficile lasciare la Lazio. Io due volte ho lasciato la Lazio e due volte ho lasciato i soldi li e qualcuno mi ha detto pure che ero un figlio di una buona donna perché dovevo andare all’Inter con Simone Inzaghi. Io due volte ho lasciato i soldi, sia da dirigente sia da allenatore ho lasciato due volte un anno di contratto. Per amore della Lazio da giocatore perché in quel momento io se fossi rimasto li sia da calciatore sia da dirigente potevo fare solo che danni. Perché poi so come sono fatto.
Ho tanti difetti ci mancherebbe, faccio un sacco di cavolate però vedo le cose da un punto di vista che forse altri non vedono. Sono uno che facilmente se la prende, sono molto permaloso ed è logico che quando qualcuno mi fa un torto faccio fatica a perdonarlo. Non è una questione di potere. Che dovevo andare a fare? A scaldare la sedia e basta? Qual era il mio ruolo? Io non lo so. In cinque anni alla fine mi chiedo che ho fatto alla Lazio? Oltre alle cose che ho fatto, che volevano che io facessi?
Io sono stato uno che era li avendo vinto tutto perché, non voglio essere presuntuoso ma ho vinto tutto, però quando dicevo qualcosa qualcuno storceva il naso o non la prendeva in considerazione. Allora se quelli che sono li dentro hanno vinto tutto va benissimo. Siccome loro non hanno vinto niente perché hanno vinto tre coppe. Di che stiamo parlando?
Parliamo di portieri, ho giocato vent’anni in porta qualcosa saprò più di altri; invece, non capivo niente se parlavo di portieri e allora di cosa stiamo parlando? Tra primavera e prima squadra quando ero li abbiamo comprato quattro portieri e dopo averli comprati mi dicevano “Abbiamo comprato questo, come lo vedi?”. Ma che vuoi che ti dica tanto l’hai comprato. Dopo la partita Strakosha o chi per lui faceva un errore e io dicevo che secondo me non era un errore del portiere ma della difesa e loro mi dicevano: “Ma no ha sbagliato Strakosha” e allora parlate voi da portieri è inutile che parlo io.
Non sono un ruffiano di turno che tutti i giorni chiamava il presidente e gli dicevo “Presidente dobbiamo fare così” o “Quanto è bravo presidente”, non sono capace a fare queste cose. Io il presidente lo sentivo una volta o due a settimana per dirgli è successo questo o quest’altro. A un certo punto eravamo arrivati che mi chiamava lui per delle minime cose, come delle chiamate a mezzanotte perché a Formello non trovavano più una sedia.
La progettazione nella Lazio non è mai esistita, questo a me ha dato noia. Cinque anni fa quando arrivai mi dissero dobbiamo fare il progetto ma non c’è mai stato. La mia collocazione nella squadra? Non sapevo mai che cosa dovessi fare perché se ti allargavi un po’ di più eri costretto a rientrare nei tuoi confini, non sapevi cosa fare perché tutti fanno di tutto e tutti non fanno niente. Non ci sono ruoli prestabiliti li dentro, chi arriva la mattina dice cosa bisogna fare poi alla fine arriva il presidente e dice non avete capito niente bisogna fare così. Non funziona così, si perde tempo.
Guarda negli acquisti, bisogna aspettare sei mesi per concludere per un giocatore. Se ti piace quel giocatore si compra. Però il giocatore si segue come si deve seguire. È giusto che il direttore faccia il suo lavoro ma se devi comprare un portiere è giusto che io dica la mia. Così hanno fatto con Reina, Proto, Strakosha. Così come con i portieri della primavera. Non c’erano le condizioni.
Paragone con la Juventus? Esce fuori che quando c’era Moggi lui faceva il direttore sportivo, poi c’era l’economo e poi quello che diceva cosa si dovesse fare e poi c’era il team manager. Non c’era invasione di campo. Il ruolo di Tare è il direttore sportivo e comandare tutto li dentro quando non c’è il presidente. Non è una cosa fra me e Tare è una cosa che riguarda come è organizzata la Lazio, come struttura.
Io non ho niente contro, sono stato cinque anni li e pure bene ma eravamo arrivati alla condizione che io non stavo più bene dentro quell’ambiente ma non per Tare"