“Sto diventando ricco per comprarmi la Lazio”…Nel 1983 lo fece davvero.
E chissà se prima che il cuore lo tradisse proprio l’1 aprile, avrà pensato alla sua Lazio.

Giorgio Chinaglia è leggenda immortale, sospesa in uno spazio sconfinato dove gli anni non passano mai. 
Perché poi in fondo, mi dico io, una leggenda potrebbe avere una precisa collocazione temporale?  

Giocava in lei e per lei, scappava, tornava, senza la Lazio non poteva stare.
Scappava e tornava sempre, tornò anche l’ultima volta.
Long John non fu solamente un “giocatore biancoceleste”, sarebbe tanto ingiusto quanto incompleto.
È entrato nelle nostre case, è stato il protagonista delle storie che mi raccontava mio padre, ha portato la gente allo stadio, c’ha fatti rispettare!

Giorgio era la LAZIALITA’ in tutta la veemenza, esaltazione, decadenza e la Lazio di Chinaglia fu una squadra assurda, assolutamente inconcepibile oggi.
La sua vita comunque la si voglia leggere, anche nei capitoli bui fatti di dissacrazione dell’immagine stessa, stuzzicherà sempre il fascino dell’icona immortale. Anche nella dissacrazione dell’immaginedell’ eroe atipico, ha sempre fatto tutto quello che serviva per ricompattare l’ambiente e mai per dividerlo. 
Il laziale non dimentica che fu proprio Long John a cambiarne la mentalità con i suoi estremismi e le sue fragilità. 

Ancora sia forte quel grido di battaglia che fa rima con Chinaglia, quel nome che echeggiava tra gli spalti e ne diventava lo striscione perfetto. 

Lui che lontano dalla Lazio non trovava un posto nel mondo, nemmeno l’America riuscì a mettersi in mezzo. 
Lui andava via e tornava ossessivamente, anche problematicamente. 
Ogni uscita di scena preparava tutti ad un rientro con la fanfara, in grande stile così com’era in area di rigore.
Ogni saluto era un chiaro messaggio: “Aspettatemi, non sono andato via per davvero “.
Il calcio di Giorgione fatto di vittorie e pistole, schiaffi e risse, così come veniva, così alla FOOTBALL CRAZY.

Tipico racconto del dopoguerra quello del bomber di origine toscana, nato a Carrara il 24 gennaio 1947. Figlio di genitori poverissimi emigrati in Galles in cerca di fortuna. 
Nel frattempo, il “piccolo” Giorgio aveva coltivato la sua unica passione: il calcio. 
La storia d’amore tra lui e la Lazio nacque nell’estate del 1969 e durò fino all’aprile 1976. 
Nel 1974, proprio in quel campionato epico, guadagnò il titolo di capocannoniere in Serie A con 24 gol in 30 partite. In totale realizzò 122 gol nelle 246 presenze collezionate con la maglia della Prima Squadra della Capitale.
Divenne poi Presidente ereditando il ruolo da Gian Chiarion Casoni il 13 luglio 1983 fino al febbraio 1986.
Centravanti che sapeva essere devastante grazie alla sua fisicità, trascinò con le sue reti la “creatura” di Maestrelli allo Scudetto. 

La Lazio del ’74 è morta un pezzo alla volta a causa di una serie incredibile di tragedie.
Favola di rinascita e gloria con un finale disgraziato. 
Venerdì 1 aprile ci sarà una messa per ricordare, a dieci anni dalla sua scomparsa, Giorgio Chinaglia, ma anche chi ha fatto parte del gruppo del 1974.
Ad annunciarlo è stata la Polisportiva Lazio attraverso un comunicato: 

«La Presidenza Generale della Società Sportiva Lazio comunica che – in occasione del decennale della scomparsa di Giorgio Chinaglia – sarà officiata, venerdì 1 aprile, alle ore 17,30, una messa di suffragio presso la Chiesa del Cristo Re di viale Mazzini, la “cattedrale dei Laziali”. La funzione religiosa commemorerà “Giorgio e i suoi amici”, ovvero tutti coloro che, a vario titolo, hanno fatto parte del gruppo della Lazio del ‘74, artefici della più leggendaria storia biancoceleste: Felice Pulici, Pino Wilson, Luciano Re Cecconi, Giorgio Chinaglia, Mario Frustalupi, Luigi Polentes, Mario Facco, Ferruccio Mazzola, Tommaso e Maurizio Maestrelli, Umberto Lenzini, Antonio Sbardella, Bob Lovati, Andrea Ercoli, Gian Chiarion Casoni, Gigi Bezzi, Renato Ziaco, Gigi Trippanera, Padre Antonio Lisandrini, Nanni Gilardoni».


La fenice guidata da Maestrelli arrivò al massimo splendore, la Lazio delle partitelle a Tor di Quinto, delle pistole, dei cowboys, una banda di pazzi che andò a prendersi il suo posto nella storia. 
Un altro tempo, un’altra Italia, gli anni di piombo e forse solo in quel periodo poteva nascere questa “favola per caso” destinata all’eterno.
Una squadra tanto magnifica quanto “maledetta” per gli eventi e che segnarono un destino poco glorioso rispetto al suo vivere.  
Oltre ogni retorica, quella fu davvero la LAZIO che amiamo amare, unica nel suo genere e nel globale contesto biancoceleste.
Se ne dissero e se ne dicono ancora tante: pazzi, pistoleri, violenti…E quello scudetto se lo andò a prendere il 12 maggio del 1974, la conclusione più sensata per questo nostro racconto illogico.
L’epopea biancoceleste iniziò con quella banda di pazzi che dimostrò a tutto il mondo che non è sempre la ragione a vincere.
Insegnò che non vincono i milioni, i più “sensati” e, che almeno una volta, lo Scudetto arrivò tra colpi di pistola.
Sventoli ancora alta e mai doma la nostra bandiera.
“Di Lazio ci si ammala inguaribilmente”, il resto è noia…

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