“Sto diventando ricco per comprarmi la Lazio”…Nel 1983 lo fece davvero.
E chissà se prima che il cuore lo tradisse proprio l’1 aprile, avrà pensato alla sua Lazio.
Oggi pomeriggio tutta la Lazio si unirà per ricordare la scomparsa di Giorgio Chinaglia con una messa in suo onore presso la Chiesa del Cristo Re di viale Mazzini ma non solo:
«La funzione religiosa commemorerà Giorgio e i suoi amici – si legge in una nota della società – ovvero tutti coloro che, a vario titolo, hanno fatto parte del gruppo della Lazio del 74, artefici della più leggendaria storia biancoceleste».
Dieci anni fa se ne andava Giorgio Chinaglia, incarnazione della LAZIALITA’ in tutta la veemenza, esaltazione, decadenza e la sua Lazio fu una squadra assurda, assolutamente inconcepibile oggi.
Una bandiera, simbolo del primo scudetto conquistato dalla Lazio nel 1974.
“Genio e sregolatezza” che ha reso immortale la banda di quell’epico Tricolore.
La Lazio delle partitelle a Tor di Quinto, delle pistole, dei cowboys, una banda di pazzi che andò a prendersi il suo posto nella storia.
Un altro tempo, un’altra Italia, gli anni di piombo e forse solo in quel periodo poteva nascere quella favola destinata all’eterno.
La sua vita comunque la si voglia leggere, anche nei capitoli bui fatti di dissacrazione dell’immagine stessa, stuzzicherà sempre il fascino dell’icona immortale.
Anche nella dissacrazione dell’immagine stessa, ha sempre fatto tutto quello che serviva per ricompattare l’ambiente e mai per dividerlo.
Il laziale non dimentica che fu proprio Long John a cambiarne la mentalità con i suoi estremismi e le sue fragilità.
Scomparso all’età di 65 a causa di un arresto cardiaco, ha lasciato un senso di smarrimento nel cuore di tutti noi tifosi biancocelesti.
Considerato il figlioccio di Tommaso Maestrelli, è sepolto proprio a Roma al fianco del Maestro, lo scorso 6 marzo li ha raggiunti anche il capitano Pino Wilson.
Giorgio Chinaglia unisce due generazioni di tifosi: di padre in figlio.
Mio padre che lo ha visto allo stadio giocare con la nostra gloriosa maglia ed io, a cui veniva raccontata puntualmente la stessa favola della buonanotte.
E la mia è una storia come tante altre perché, la leggenda non muore mai.
E quella di oggi è una giornata importante per la prima squadra della capitale.
Su iniziativa della società alle ore 17:30 verrà celebrata nella Chiesa Cristo Re di Roma una Messa in suo onore nella quale verranno ricordati tutti gli altri eroi del ’74 purtroppo scomparsi.
Lazio, attraverso una nota sul proprio sito ufficiale, ha voluto ricordare la leggenda Giorgio Chinaglia, scomparsa dieci anni fa.
«Dieci anni fa ci lasciava Giorgio Chinaglia, bandiera biancoceleste e vincitore del primo Scudetto della S.S. Lazio. Quel dito puntato, quel rigore battuto contro il Foggia, quei 24 gol nel 1973/74, sono immagini che il popolo biancoceleste non dimenticherà mai. Nel cuore di tutti è sempre vivo il suo ricordo».
Intanto, in un’intervista per Il Messaggero, Luigi Martini, ha voluto ricordare il su ex compagno di squadra.
“Un trascinatore, il simbolo, l’anima, lo spirito guida dello scudetto. Un guascone. A volte arrogante e prepotente, ma con un cuore grande. E pure era un uomo fragile. In campo, reagiva alla fragilità caricandosi. Ma quando sei da solo, e non hai 70mila persone intorno, puoi essere sopraffatto. In quei casi, Maestrelli se lo portava a casa, lo coccolava, Giorgio rimaneva da lui anche due giorni senza uscire. Aveva avuto un vissuto pesante, l’infanzia in Galles col padre minatore, gli dicevano “italiani mafia e spaghetti. Aveva una grande rabbia dentro, era la sua forza. L’immagine del dito puntato contro i romanisti dopo un gol in realtà è simbolica di chi fosse Giorgio: uno che sfidava tutti, anche il potere, anche la morte. Fino all’ultimo. Quando si sentì male, in ospedale i medici gli dissero che dovevano trattenerlo e lui rispose: -Attaccatevi al c…o, io firmo ed esco-. Morì poco dopo. Carissimo Giorgio. Lo ammettemmo anni dopo che ci volevamo un sacco bene.Mi manca tanto il mio nemico amatissimo. E, ovviamente, tutta quella squadra del 1974. Io e Giorgio non ci piacevamo più di tanto, ma in campo guai a chi lo toccava. Cominciai davvero ad apprezzarlo solo dopo che smettemmo di giocare. Ci incontrammo un giorno al fleming e diventammo amici”.
L’epopea biancoceleste iniziò con quella banda di pazzi che dimostrò a tutto il mondo che non è sempre la ragione a vincere.
Insegnò che non vincono i milioni, i più “sensati” e, che almeno una volta, lo Scudetto arrivò tra colpi di pistola.
Sventoli ancora alta e mai doma la nostra bandiera. DNA LAZIO
DEI NOSTRI COLORI FIERI,
DEL CALCIO A ROMA I PIONIERI