Maurizio Sarri, nella giornata del 28 giugno, è tornato a parlare della sua grande passione per il ciclismo ai microfoni di Eurosport.

«La mia passione con ciclismo c’è da sempre. Mio padre, nonni, zii…Casa mia era pane e ciclismo. Era normale appassionarsi e andare in bicicletta. E’ stato tutto naturale, l’anomalia è stata il calcio non il ciclismo.

Secondo me ero un buon ciclista e un giocatore mediocre. Per me andare a correre era una responsabilità: sentivo che venivo da una famiglia di ciclisti e dovevo vincere. Mi pesava un po’, ma l’amore per il ciclismo è rimasto sempre.

Il soprannome Parapei?
Era il soprannome di mio nonno. Qui in Toscana ci si conosce tutti per soprannomi e io me lo sono scritto anche davanti a casa. Poi è diventato il soprannome del mio babbo e io ero il Parapeino secco perché ero l’ultimo arrivato e perché ero 187 cm e pesavo 69 chili.

Ero il secco.
Ero più un passista veloce, mi divertiva tantissimo la discesa, ma ancora…Credo che sarei un corridore da classica in Belgio e non da grandi giri. Il mio primo ricordo è un Giro d’Italia vinto da Gimondi all’ultima curva, ero veramente piccolino, la fulminata totale però me l’ha data Francesco Moser.
Moser rimarrà un idolo per tutta la vita: mi ha fatto emozionare
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Quando correva lui e giocavo io cercavo di calcolare le ammonizioni per vederlo alla Parigi-Roubaix. L’ho seguito con una passione enorme. Lo trovai una volta in Versilia, aveva la maglia della Filotex e mi misi a seguirlo a distanza. L’avevo seguito anche quando era ancora un dilettante perché correva in Toscana al Bottegone e mio babbo mi diceva sempre che c’era un ragazzo forte.

Sarrismo e Landismo?
Sono quelle filosofie bellissime, ma quasi sempre perdenti. Il bello è il viaggio, non la meta. La differenza che c’è tra il Tour e il Giro mi ricorda quellla tra la Premier League e la Serie A: uno strapotere mediatico-economico che sarà difficile colmare, però speriamo che le grandi squadre abbiano interesse più per il giro d’Italia in modo che questi nomi girino anche qui. Siamo in un momento in cui siamo in attesa.

Abbiamo corridori che nelle corse di un giorno possono far bene, manca quello che può far appassionare anche i giovani. Per quanto mi riguarda, essendo innamorato del ciclismo, che ci sia uno sloveno o un italiano mi importa poco, però per il sistema sarebbe importante un nome che vince e che faccia appassionare i bambini ad andare in bicicletta».

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