Si chiamava Vincenzo Paparelli….

Sì chiamava Vincenzo Paparelli e fu assassinato il 28 ottobre 1979 mentre mangiava un panino allo stadio con la sua famiglia. Un derby che scrisse la storia del calcio romano, un derby tristemente noto che non è mai retorica nominare quando si parla di violenza negli stadi.

Era un’altra Italia, erano altri tempi. Erano altri tempi, ma il pallone era lo stesso: quell’emblematica unione tra la passione e l’odio istigato verso chi non porta la tua stessa maglia. Una guerra però non guerra ove non vi è nessuna trincea, solo barricate opposte per soli novanta minuti.

Si chiamava Vincenzo Paparelli ed in pochi tg lo ricordano oggi perché troppo presi a parlare di un adesivo. Si chiamava Vincenzo Paparelli e parlarne non è retorica. La sua è la storia di tante altre domeniche finite male, di altri cento uomini ed oggi si parla di un adesivo.

Trentatre anni, un derby, un ultrà, un razzo e finisce tutto così, a trentatre anni allo stadio. Sfottò, soliti del tifo caldo di noi romani quando, tra sponde opposte del Tevere, ci troviamo faccia a faccia. A volte forse questo clima diventa addirittura “esasperato”, prima era un’altra Italia, altri anni e forse un’altra Lazio, un’altra Roma, ma quel derby non fu come tanti: fu tragedia. La faccia più brutta del pallone, di uno sport che paradossalmente non contempla lo scontro fisico.

Un razzo andatosi a conficcare nell’occhio di Paparelli e tutto diventa inspiegabile, una morte ancora più drammatica per la sua “inutilità”. Perché magari pensi di morire con un razzo nell’occhio in guerra, non allo stadio.

Una tragedia che ha colpito e colpisce anche chi, come me, è venuto dopo. E tanti che son venuti dopo hanno sentito i cori, visto le scritte infamanti su Paparelli cose che accadono ancora oggi a quasi quarant’anni di distanza. E quale modo più becero di ricordarlo può esistere oltre ad infangarne la memoria? Un vanto da appuntare alla maglietta come una stella d’argento, invece di tacere. Questo, purtroppo, è un altro volto del pallone, quando il tifo diventa istigazione all’odio e si sfottono i morti con canzoncine in rima nella più oceanica bruttezza dell’essere “persone”.

Quell’odioso “saluti e baci Paparelli a Prima Porta”… Quella minaccia di sparare prima o poi un altro razzo. Eppure oggi si parla di un adesivo! 

Il mondo dopotutto è così strano, la gente si vanta di cose per cui dovrebbe vergognarsi!

Paparelli, la sua morte, resta il simbolo del tifoso enfatico, estremo, surreale, nauseante, malato. “10, 100,1000 Paparelli” scritta orribile di gruppi che forse non amano neanche la loro bandiera, ma vivono nel costante odio dell’altra.

Paparelli e la sua morte però, sono anche un richiamo per chi ripugna la violenza e porta l’accaduto come esempio di belligeranza non tollerabile.

È vero che il calcio sveglia in tutti noi un astio quasi impulsivo verso gli avversari, una rabbia immotivata, ma è pur vero che fortunatamente per la maggioranza di noi nasce e muore nello stadio. Non vi è nulla di personale in questa nostra belligeranza nata da dove non si sa.

Gente che magari beve una birra insieme, va a scuola insieme, compagni di comitiva, colleghi d’ufficio… eppure, in quella strana cosa che scatta in novanta minuti, diventano estranei, nemici. Strano se ci si pensa.

In tanti dovrebbero capire che dura solo “novanta minuti”! Quei tanti non capiscono che lo spot è bello, ma troppo spesso, ahinoi, diventa marcio. Quel giorno lo divento’ scrivendo uno dei capitoli più brutti del calcio italiano, non solo capitolino.

Tutti dovrebbero darsi da fare perché non esista più un altro Vincenzo Paparelli. Yes We Lazio si unisce al ricordo commosso della morte immotivata del tifoso laziale assassinato il 28 ottobre 1979.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *