«Il discorso ultras esula da quello sportivo o dal risultato. Ad oggi, al netto di un mercato che non è stato fatto e di una squadra che non è stata rinforzata, non è accaduto quello che speravamo accadesse. Ad oggi gli ‘Irriducibili’ non si sentono più di chiedere ad altri tifosi di andare allo stadio e di fare gli abbonamenti. Non è un discorso che deve riguardare noi, ma capisco gli altri. Mi sento di dire che in questa società non cambierà mai niente. Pensavamo in maniera costruttiva, ci abbiamo messo la faccia, abbiamo provato a ricreare un ambiente costruttivo per permettere al club di lavorare al meglio».
Questo il comunicato di Diabolik. Sapete cosa vi dico?
Sono stanca dei proclama, del “chi entra allo stadio è complice“, che lasciò poi il posto a “chi non entra è una m***a“.
Sono sempre stata una persona “libera“: libera di essere triste, felice e vivere la vita così come viene.
Vi racconto dunque il mio “stadio“: se mi va di andare faccio il biglietto, al contrario accedendo la TV e faccio il login del mio costoso abbonamento.
Non voglio essere incolpata, sentirmi meno tifosa di altri o pensare di appoggiare, o remare contro, in chissà quale guerra ideologica.
Sono d’accordo con quelli che hanno appeso una sciarpa al chiodo e lo sono con quelli che la sciarpa la indossano ogni domenica affrontando la giungla del parcheggio. Un’avventura senza fine.
E dico questo perché mi fa male il cuore leggendo sui social network di una diatriba che è arrivata al suo punto più basso e, permettetemi, squallido.
Artefice di questa spaccatura in una tifoseria riconosciuta per la sua veemenza, le sue coreografie, il suo calore, non è il presidente Lotito in se, nemmeno quello che rappresenta, siamo noi stessi ad essere diventati paladini di un qualcosa che forse rimane agli ultimi romantici.
Perché oltre gli sproloqui su una presunta “Ferrari” tra le mani del patron, o la squadra difficilmente migliorabile del signor Igli Tare, oltre tutto questo ci siamo noi.
Noi che non vogliamo nessun proclama, nessuna imposizione da parte di altri nostri pari.
Noi che storciamo la bocca o applaudiamo davanti la delusione del ds che si aspettava un Olimpico esplosivo giovedì sera. Noi che vogliamo essere liberi di pensare che le 19:00 è un orario scomodo senza essere sbeffeggiati.
Ammettiamo la verità e se sarà dura la chiamerò sfortuna: quantità e zero qualità, 4 calciatori forti, 3 con tanto cuore e polmoni, poi il nulla.
Queste cose bisogna raccontarle, bisogna avere il coraggio di guardarsi allo specchio.
Il mio discorso non vuole essere una campagna antilotitiana, non cadrò grossolanamente nell’errore di accampare una mia ideologia, il mio discorso è tra le righe una difesa a spada tratta verso i tifosi.
Possibile che sul web si parli ad insulti tra persone che dovrebbero parlare la stessa lingua?
Siamo nemici di noi stessi, ci rinneghiamo a vicenda ogni volta che spariamo fango su altri biancocelesti che son cresciuti nel mito di una squadra gloriosa e di un’eredità centenaria.
Come si fa a tornare “best friends forever?“
Con la tolleranza, accettando le idee, i principi e le scelte reciproche.
Ma forse questa rimarrà solamente utopia.
Quindi chi ha ragione? Chi va o chi non va allo stadio?
Hanno ragione entrambi.
Vivi e lascia vivere, ognuno si faccia i suoi che così campa cent’anni!
Quant’è bello esse’ laziali… quando i laziali non si odiano tra loro!