Non tutto il male viene per nuocere, sia chiaro che il rodimento l’ho provato anche io, ma ragionando ho capito tantissime cose che forse avremmo dovuto afferrare dal principio.

Nelle dichiarazioni precampionato, nessuno tra presidente, Ds o allenatore, aveva mai menzionato l’Europa League, l’unico obiettivo palesato ad oltranza era il raggiungimento del quarto posto.
Sotto i riflettori internazionali si sperimenta, Inzaghi ha trovato terreno fertile per testare i nuovi, anche in una gara di vitale importanza come quella di ieri.
La Lazio non è una squadra costruita per lottare su più fronti, è però una compagine votata al campionato, verso la conquista della Supercoppa e della Coppa Italia.
Detto ciò, ho quasi la pacifica rassegnazione al gol arrivato all’ultimo momento.

Se i biancocelesti vogliono davvero la qualificazione in Champions League,  non possono disperdere energie durante la settimana.
Per avvalorare la mia tesi, basta pensare a ieri sera.
Mezz’ora al top e poi la resa davanti alla cavalcata scozzese.
Celtic, fasto antico che non può essere nominato  tra le supremazie Europee, nel nostro campionato sarebbe una squadra sospesa tra il quarto e sesto posto in classifica.

La verità, senza inutili giri di parole, è che la Lazio deve sempre adoperare una scelta, quale dei suoi figli sacrificare e quale preservare. Quale obiettivo salvare e quale deve lasciare.
Quando diminuisce il numero dei titolari diventa una squadra da fascia medio/bassa.

Lo stesso accade quando il parterre degli “inamovibili” è costretto a stringere i denti. Non mi era mai capitato di vedere Acerbi a tratti confuso, Caicedo corpo estraneo al campo, o un Milinkovic così in assente.

Certo, si poteva anche vincere, il super Forster scozzese ha elargito miracoli qui e lì, i calciatori del Celtic si sono catapultati davanti la porta di Strakosha, Luiz Felipe e Vavro hanno stoppato due gol quasi certi, ma troppe volte sono stati proprio i biancocelesti  a lanciare gli avversari.
Ed è stato Berisha, il caso più eclatante però dovremmo parlare di altri mille piccoli casi strani, a servire il pallone arrivato a Ntcham che ha tolto alla Lazio la luce.
Eppure era un girone che di incognite ne aveva presentata solo una: il Celtic.
Le preoccupazioni erano gravitate tutte intorno alla squadra di Glasgow perché, tra Cluj e Rennes, il gruppo pareva abbastanza abbordabile.

O te magni sta minestra o….

Inzaghi quante responsabilità ha?
Ha fatto la conta dei suoi e va avanti come può.
Un errore lo ha fatto, ovvero quello di voler Caicedo chiaramente fuori fase per l’infortunio alla spalla,  come compagno di Immobile ostinandosi a tenerlo in campo per tutto il tempo.
Non avrebbe potuto schierare Alberto da subito?
Fuori uso Correra di attaccanti non ce ne sono, ma a questo punto avrei preferito un Adekanye con poca esperienza a pieno servizio, piuttosto che un Felipao al 20%.
O ripeto: non poteva andare in campo Alberto?

Si possono criticare alcune scelte, ad esempio non era certo Leiva il peggiore dei mali,  ma alla fine della fiera i cambi sono roba che conta poco quando si perde così.

Jony ha fallito a metà, abbiamo capito che è abulico sia al ruolo che al modulo. Berisha ha condannato la Lazio come fece a Salisburgo, il suo errore ha fatto scendere i titoli di coda.

Per trenta minuti la  Lazio aveva padroneggiato il prato verde dell’Olimpico, Lucas Leiva assolutismo nella propria metà campo, Lazzari aveva fatto impazzire gli scozzesi e Ciro non aveva fallito.
Colpevole il solito calo dell’attenzione e la furia di Glasgow è diventata un ribaltone. 
Nella ripresa la Lazio è scomparsa, si è sciolta in un’atmosfera arrendevole e in una domanda: ma che c’annamo a fa’ in Champions?

Oggi che aria tira?  Pensamo al Lecce.

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