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Ecco come potrei presto riassumere la partita di ieri sera.
Non ci sarebbe nemmeno troppo da aggiungere, ma, visto che ci siamo…
Una roba simile avrebbe potuta dirigerla Martin Scorsese, gara degna di essere soprannominata “Odissea nello spazio”, la vittoria a Cagliari, ottava consecutiva, è stata epica.
Cambiare le sorti negli otto minuti di recupero è roba dell’altro mondo, tantissimi capitoli calcistici raccontano di grandi imprese compiute da grandi uomini.
L’eroe per caso e forse neanche più troppo “per caso” è Caicedo, il bomber defilato che sta scrivendo la sua nuova parabola da uomo della Provvidenza.
Non si muove foglia che Felipao non voglia, non più “a caso”, ma specialista dell’ultimo minuto, del suo personale “caceidesimo minuto”.
Per questa squadra diventa lecito sognare a sole 3 lunghezze dalla vetta.
Una scala per il paradiso, la Lazio canta la sua personale “Stairway to Heaven” ed i Led Zeppelin non si arrabbieranno certo per la violazione del copyright.
L’ottavo successo consecutivo, il più clamoroso, il più maturo, cercato col cuore e non accettando un risultato negativo.
I biancocelesti sono stati al principio vittime dell’improvvisato catenaccio cagliaritano, la squadra di Maran era infatti impegnata a difendere il gol di Simeone.
E ci stava riuscendo benissimo, un plauso alla prima parte della gara per i padroni di casa, mentre la Lazio rimaneva imprigionata nel triangolo delle Bermuda, da quel collettivo perfetto di giocatori senza ruolo in tanti ruoli.
Un gioco che aveva funzionato talmente bene, da confondere persone come Milinkovic, disarmando Immobile e Correa.
Poca la pericolosità dei capitolini che non riuscivano quasi ad arrivare alla porta di Rafael. Un Cagliari che ripeteva con la voce grossa la sua classifica, la serie positiva di 13 partite, un Cagliari decimato dalle assenze a cui non si può certo recriminare nulla, un Cagliari ostico che ha tenuto botta.
Un primo tempo che i padroni di casa hanno maneggiato con la cura e la mentalità giusta, salvato solamente da Strakosha per gli ospiti, assolutamente l’uomo migliore in campo nel momento in cui l’assedio sardo aveva fatto tremare il popolo biancoceleste.
Questa partita “maschia”, fallacci e cartellini gialli, senza paratone di Rafael, ha raccontato la parabola personale di Caicedo, l’uomo sponda, l’uomo dell’ultimo minuto.
Racconta il pareggio del 91′ firmato Luis Alberto che poco prima aveva chiesto il cambio senza aver notato che i 3 cambi erano esauriti.
Racconta a grandi linee la storia di Jony, di un traversone buttato in area e raccolto da Caicedo, l’uomo grosso divenuto “quello della Provvidenza”.
Perché lui la sua parabola se l’è scritta nel tempo, con il lavoro duro che fa uno che non nasce top player.
Uno che si tappa le orecchie e non ascolta le offese, si mette testa bassa a lavorare pensando che forse sì, i fischi si possono trasformare in applausi.
Cose che solamente i calciatori maturi conoscono.
Il panchinaro, il bomber di riserva, scaraventato in campo per compiere l’ impresa.
Grazie per questo schiaffo morale Felipao.
“Amami o faccio un Caicedo”.
Una partita accompagnata da polemiche velenose, un recupero infinito che ha giocato contro il Cagliari, i sette minuti + qualche secondino decisi da Maresca in effetti erano sembrati eccessivi, soprattutto senza aver scomodato Var ed affini.
Mio padre aveva detto: -Adesso la Lazio segna-, ma a me, miscredente per natura, pareva impossibile anche solo il pareggio.
Perché nelle favole calcistiche si deve credere, in questa specie di Leicester italiana che vince le partite al “caceidesimo minuto”.
Se sia stata o meno una super Lazio, non mi interessa, ma otto vittorie consecutive devono pur significare qualcosa.
Aver sacrificato l’Europa League per centrare l’altra Europa, deve pur significare qualcosa.
Un sogno che adesso diventa lecito ed il pensiero di staccarsi dal campionato, fa sembrare fastidiosa anche l’avventura della Supercoppa.
Il prossimo appuntamento infatti è Riyad distraendoci dai sogni solo per un po’, ma per dimostrare che tutto questo deve pur significare qualcosa.
Perché tutto questo non può essere un caso, tutto questo deve pur significare qualcosa e significa che la Lazio, finalmente, è tornata grande.