L’Italia vive barricata in casa in una enorme “zona rossa”, la gente si ammala, purtroppo muore.

Conte
ha deciso, per fermare il coronavirus IO RESTO A CASA ed in un attimo perdiamo ciò che sempre abbiamo dato per scontato: la normalità.
Il parrucchiere, l’aperitivo, la birretta fuori, il sushi…. Camminare per strada e salutarci.

I vertici del calcio stanno mostrando la loro faccia più brutta tra litigiosità e caos. Anche in casa Lazio non sono mancati malumori.

Diaconale, in merito  alla richiesta avanzata dal Coni e recepita poi pienamente dal Governo. “Non sarà facile imbrogliare il presidente Claudio Lotito da parte di ministri demagoghi e dirigenti irresponsabili che non capiscono come fermare il campionato significherebbe far saltare tutti i diritti televisivi e condannare al fallimento la gran parte delle società calcistiche italiane”.

Ok, caro Diaconale, l’odore di marcio lo abbiamo sentito, le macchinazioni del potere anche, forse.
Abbiamo capito, da anni, che la Lazio in vetta dà fastidio a non si sa chi e ci aggiungo un altro “forse”,  a quegli strapoteri che dall’insediamento di Lotito puntiamo a combattere.

Forse
, ribadisco, perché questo ci viene perpetrato da anni.

Forse
aggiungo, ci rode discretamente il lato B.

Ma togliamo il forse: lì fuori c’è un Italia che sta vivendo in uno scenario quasi apocalittico.
A chi andrà bene fino in fondo, ricorderà il coronavirus  come un mese assurdo dove no, nemmeno la birretta fuori t’era concessa.
Poi c’è la tragedia, le altre persone a cui  andrà peggio.

Il campionato, allora mi permetto un altro “forse”, si sarebbe dovuto sospendere già alla comparsa di quel primo focolaio, di quel primo Codogno che iniziò a cambiare le nostre abitudini.
È facile parlare a posteriori, è stato assai facile anche credere ad una semplice “influenza”.

Chissà se davvero qualcuno si sta preoccupando di acchittare i propri interessi contro Lotito.
Non so, e lo dico con tutta la tristezza, oggi ci sono battaglie più grandi del campionato e volete sapere la verità? Non siamo nemmeno arrivati ad intravedere la fine di questo maledettissimo coronavirus che ci è piombato addosso da un giorno all’altro.
Sì, vedere l’Atalanta mi ha distratto per un po’, mi è sembrato di essere nuovamente “normale”.
Fuori dalla finestra però, non lo è.

Stiamo combattendo una guerra e siamo molti di più di 22 in campo, siamo milioni.
Avremmo voluto il calcio come sottofondo al nostro isolamento? Certo, ma c’è sempre quella cosa che va oltre perfino alla classifica.
La “vita vera”.
E non è buonismo o spicciola filosofia, è trascrivere in italiano e senza imprecazioni quello che personalmente sto vivendo.
Tutte le cose che davo per scontato, il sabato sera del vino, il parrucchiere, il lavoro… Tutte le cose che non ho da sole 24 ore e già mi mancano terribilmente. Tra queste la Lazio.
Questa lotta Scudetto che tanto ci stava appassionando.
Mi scusi, caro Diaconale, io questa Lazio l’ho congelata dentro di me e la ricordo lo stesso campionato o meno.
La nostra Leicester, che mi ha dato tanto da scrivere, sospesa nel tempo aspettando cosa di preciso non di sa.

Mi fa compagnia ricordare gli abbracci quella sera contro l’Inter, la fila allo stadio, la birra in plastica, gli hot dog “liofilizzati”.
E mi faccio una risata che poi mi rattrista.

“Andrà tutto bene”, ha scritto Ciccio Caputo, andrà tutto a posto e la possibilità di continuare questa volata eccezionale esiste.
Adesso però tocca anche a noi, dobbiamo essere responsabili a differenza di quelli che manovrano il calcio italiano, quelli che per molto tempo responsabili non lo sono stati.
Il calcio italiano non ha mostrato il suo volto migliore.

Se volete ingannare il tempo, allora incazzatevi per questa tragedia capitata proprio mentre comandavamo la classifica. Fate telefonate furenti coi vostri amici romanisti, sfottetevi sui social.

Diaconale se salta il campionato salteranno i diritti televisivi, ma che ne stiamo parlando a fare mentre i medici lavorano senza sosta e senza telecamere!

Con questa emergenza, sarò tragica io forse, ma sto sperando solo di riabbracciarla un po’ di normalità e di sentire il rumore di un calcio tirato ad un pallone.

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