Ed eccola lì la Lazio della Supercoppa, delle grandi imprese, del folle plauso, intrappolata nel mondo pre- coronavirus.
Ed eccola oggi scivolata malamente per conto terzi; infortuni mal curati, il solito mercato figlio di un mix di sciatterie che non ha garantito un ricambio per i "Golden Man".
Tutto resta bloccato a Lecce, o forse anche prima, quando le mancanze si erano accusate un po’ tutte e tutte insieme.
Adesso quella squadra meravigliosa che lottava per lo Scudetto, tenta disperatamente di rimanere aggrappata all’unico obiettivo stagionale dichiarato: entrare in Champions League dopo un decennio o giù di lì.
Un delirio di impotenza, non ci sono più le gambe che girano, non c’è nemmeno la testa.
Ma la testa si rialza allo Stadium grazie ad un improbabile formazione che nel suo essere improbabile, ha riscoperto la dignità, il coraggio ed un rantolo di aggressività.
Eh, vittoria questa sconosciuta, eppure lunedì sera oltre all’amaro, abbiamo sentito una stretta al cuore quasi commovente.
Perché nella vita come nel calcio, non è figo chi non cade, ma chi nel tunnel invece di cercare spasmodicamente la luce, decide di arredarlo.
Arredarlo con ciò che ha e scoprire improvvisamente che quel che ha basta.
Non avanza, ma basta.
In questo campionato anomalo, afoso, ne abbiamo sentite arrivare da Formello di tutti i colori tra il padre padrone laziale alzare la voce, alle liti tra giocatori e staff medico sanitario.
È così: tutto assolutamente anomalo e quasi non mi rendo conto che la Serie A sia ricominciata, che quello che stiamo guardando in tv è il vero campionato.
Il libro lo abbiamo letto troppo velocemente, come quelle guide che si sfogliano in fretta per montare il mobiletto dell’IKEA.
La Coppa Italia in tre giorni, una partita ogni tre giorni, perfetto epilogo su come distruggere un’ ottima annata.
Ciò che per mesi era stata l’apoteosi biancoceleste si è mestamente trasformata nella disperata lotta per rimanere tra le prime quattro della classe.
Post scriptum: e la cosa non è nemmeno sicura.
Contro la Juventus doveva essere LA partita Scudetto e la suggestione di poter tornare a vent’anni fa, invece i ragazzi di Simone Inzaghi hanno ruzzolato giù dall’Olimpo dei vincenti.
Qualcuno dovrà prendersene la responsabilità, ma forse, anzi sicuramente, ovviamente, perdutamente… non lo farà mai.
A raccogliere i cocci sono stati quelli in campo ingiustamente accusati di non avere più cuore e né palle, ma ha ragione il mister:
"Non toccate i miei ragazzi".
E oggi siamo arrivati quasi all’ultimo capitolo di questo libro che è stato infinito, reso infinito da una pandemia mondiale, campionato che passerà agli annali della storia come quello "der coronavirus".
Marco Parolo e compagni non possono smettere di lottare.
Non possono stare comodi perché la comodità è un lusso che non gli è concesso.
A pochi giorni dalla fine deve rimanere l’orgoglio perché le gambe non girano e questo è realismo spietato.
Forse servirebbe un miracolo, ma qui a Formello di miracoli non se ne sono mai visti e forse questa mia chiacchierata rimarrà l’ennesimo racconto Lazionalpopolare.