Non servono numeri o statistiche per parlare di lui, i numeri e le statistiche li lasciamo altrove, basta solo dire “mito” , e non dirlo buttando una parola ridondante, pretenziosa e sciorinando frasi al miele messe lì perché lo devi fare, perché glielo devi per la doppietta ed i tre punti di domenica sera.
No, quando parli di Miroslav Klose, in quel momento esatto tu parli di altro: di quel calcio tradizionale dalle tinte un po’ romantiche e nostalgiche, “classico” come una Luis Vuitton vintage che non passa mai di moda. Parli dell’aplomb e del fair-play in campo, dell’educazione nel gioco, del rispetto verso gli avversari, di ciò che assolutamente dev’essere preso ad esempio dai ragazzini nei campetti di periferia e non i falsi miti, i soldi, il gossip e le starlette di cui adesso sembra fatto il calcio “moderno”.
Campione non si nasce, campione lo si diventa col sacrificio di chi, seppur record mondiale, ancora sgomita in campo come un ventenne sconosciuto che vuol esser notato. Carta di identità nemica di questo calcio ossessionato dalla giovinezza, incentrato spesso solo sui giovanissimi, che a tratti ha perso quel gioco un po’ romantico in questi tempi dei tatuaggi, delle pettinature assurde e delle nottate brave in discoteca. Miro è solamente una palla che arriva in rete, è l’anti-selfie, l’anti-proclama, è la sola voglia di giocare a calcio. Scusate se parlo senza tecnicismo, anche perché come fai ancora a parlare di tecnicismo parlando di Klose? Sarei solo una dopo migliaia che descriverebbe il panzer dicendo “centravanti”. Io parlo di ciò che rappresenta per me e per tutti quelli come me seduti su quella seggiolina in uno spalto, che un giorno potranno raccontare di aver visto giocare Miro Klose. Con un giocatore record mondiale, ex Werder Brema e Bayern Monaco , in madre patria Germania celebrato come il bomber dei bomber, la Lazio ha ottenuto di nuovo l’appeal internazionale e scusate se è poco!
KLOSELOVERS- “Vecchio”, “un ex d’eccellenza in panchina”, questo i maligni dicevano, forse per esorcizzare un po’ quel timore nel trovarselo davanti, perché Klose è in ogni dove: nel dispensare assist, nel sacrificarsi per la squadra, nel mettersi a disposizione dei compagni, addirittura nell’adoperarsi sulla linea della retroguardia se questa soffriva un po’. Quando le cose si mettono male, tutti sicuramente una volta almeno avranno pensato: “ dai adesso il mister fa entrare Klose e sistema tutto”. Questo è per noi laziali. “Precario” qualcuno disse vedendo arrivare dapprima Djordjevic e poi Matri, quando quella maglia da titolare divenne solo una per tre. Un “colpo di stato” annunciato dalle parole di Pioli: “ non sono le riserve di Klose”, parole che lasciavano trapelare una ideologia rivoluzionaria. Eppure Miro Klose s’è tenuto ben saldo la corona sul capo e sul campo ed è stato capace di brillare in una partita come quella domenica, una delle più brutte forse della Lazio, che davvero ti veniva voglia di cambiare canale e vedere qualche fiction. Nel momento in cui la Lazio ne aveva bisogno, in cui c’era quel po’ di disamore da parte di tifosi, Klose mette pace.
Miro è quella Lazio vecchia e romantica che non si vede più, è una carta d’identità che è solo carta, è forse l’emblema di questa formazione, è forse lo spirito della Lazio stessa: Miro Klose e tutto il resto è noia!